Alcuni specialisti australiani hanno impiantato con successo il prototipo di un occhio bionico in una donna affetta da una profonda menomazione visiva, retinite pigmentosa, una condizione ereditaria. E’ la prima volta al mondo che un simile congegno viene impiantato dietro la retina.
Il congegno a 24 elettrodi è stato progettato, costruito e testato da un’equipe del “Bionic Vision Australia” ed è stato inserito dalla specialista oculistica Penny Allen.
L’occhio bionico è stato attivato e stimolato solo dopo che l’occhio aveva completamente recuperato dopo l’operazione eseguita al Royal Victorian Eye and Ear Hospital a maggio. “Non sapevo cosa aspettarmi, ma d’improvviso ho potuto vedere un piccolo lampo. E’ stato incredibile”, ha detto oggi la signora Ashworth. “Ogni volta che il congegno era stimolato, una forma diversa mi compariva davanti all’occhio”.
L’occhio bionico servirà per il momento a esplorare come le immagini sono costruite dal cervello. I test aiuteranno a comprendere cosa la paziente sarà in grado di vedere a diversi livelli di stimolazione. Il team sta lavorando anche allo sviluppo di un sistema a 98 elettrodi capace di ampliare la vista anche a oggetti grandi come palazzi e automobili.
Al 244th National Meeting & Exposition of the American Chemical Society (ACS) che si è tenuto dal 19 al 23 agosto a Philadelphia, Pennsylvania, i ricercatori hanno annunciato un nuovo “catetere intelligente” capace di evitare le infezioni del tratto urinario.
Il nuovo catetere può percepire l’inizio di un’infezione, e può rilasciare automaticamente una sostanza antibatterica per combattere l’infezione.
Il “catetere intelligente” è in fase di sviluppo sia per l’uso nei vasi sanguigni che nelle vie urinarie.
Cateteri che combattono le infezioni sono già disponibili, e lavorano rilasciando sostanze antibiotiche, ha detto il Dr. Koley dell’Università del Michigan. Si tratta tuttavia di “cateteri non intelligenti”,che rilasciano le sostanze in continuo e, quindi, ben presto si esauriscono e perdono il loro effetto antibiotico. “Quello che abbiamo sviluppato rileva l’inizio di una infezione, e solo allora rilascia la sostanza antibiotica, che è l’ossido nitrico (NO).
I ricercatori dell’Institute for NanoBioTechnology at Johns Hopkins University hanno creato una proteina sintetica che, quando viene attivata da luce ultravioletta, è in grado di guidare i medici all’interno del corpo esattamente dove si trova il cancro, l’artrite o altre patologie mediche gravi.
La scoperta apre la strada ad un nuovo tipo di tecnologia di diagnostica per immagini che permette di inserire un farmaco esattamente nel luogo dove l’immagine ha rilevato la malattia.
Gli autori affermano che la proteina sintetica non individua le cellule malate, ma il collagene danneggiato nei pressi del sito malato. Il collagene è la proteina più prevalente del corpo. Il suo compito principale è quello di fornire un ambiente strutturato in cui le cellule possono costruire la pelle, ossa e nervi. Il collagene viene danneggiato molto velocemente dalle cellule del cancro.
Le proteine sintetiche che sono state utilizzate nello studio sono peptidi mimetici del collagene (CMP) e sono naturalmente attratte nella direzione dove il collagene è danneggiato dalla malattia, e li si attaccano. Dei tag fluorescenti su ogni CMP permette poi di scoprire con la tecnologia dell’imaging il sito malato.
Quando un coagulo o trombo, impedisce il passaggio agevole di sangue attraverso le arterie e le vene, questo può portare a gravi conseguenze, compresa la morte. Ci sono tre classi di farmaci antitrombotici: farmaci antiaggreganti piastrinici, anticoagulanti e farmaci trombolitici.
Questa linea guida fornisce raccomandazioni basate su prove per le migliori pratiche nella gestione dei pazienti adulti in terapia antitrombotica. In particolare terapia antiaggregante, terapia anticoagulante parenterale e orale e terapia trombolitica per la profilassi e il trattamento in una gamma di condizioni cliniche come la fibrillazione atriale, tromboembolia venosa, malattia arteriosa periferica e malattie cerebrovascolari. E’ compresa anche la terapia antitrombotica in gravidanza.
L’HIV può essere trasformato in uno strumento biotecnologico per migliorare la salute umana? Secondo i ricercatori dell’ Institut de Biologie Moléculaire et Cellulaire di Strasburgo, la risposta è sì.
Il virus dell’immunodeficienza umana (HIV), che provoca l’AIDS, utilizza materiale cellulare umano per moltiplicarsi, principalmente inserendo il suo materiale genetico nel genoma delle cellule ospiti. La caratteristica distintiva dell’ HIV è che muta continuamente, e genera di conseguenza più proteine mutanti (o varianti) nel corso delle sue moltiplicazioni. Questo fenomeno permette al virus di adattarsi ai ripetuti cambiamenti ambientali e resistere ai trattamenti antivirali che sono stati sviluppati finora.
CNRS Photothèque/www.gregcirade.com Infographie montrant le processus de contamination du virus du sida.
I ricercatori hanno avuto l’idea di utilizzare questa strategia di moltiplicazione per incanalare gli effetti del virus a scopo terapeutico, in particolare per il trattamento del cancro. I risultati hanno permesso di somministrare i farmaci antitumorali con un’efficacia identica a 1/300 della dose attualmente utilizzata. Il passo successivo sarà per il futuro direttamente il preclinico (animale).
Sono state aggiornate le linee guida del 2010 sulla gestione della fibrillazione atriale a cura della Società Europea di Cardiologia (ESC). La pubblicazione sulla rivista “European Heart Journal, online on 24 August 2012“.
Nel nuovo documento vengono trattati:
Valutazione del rischio ictus ed emorragia;
Nuovi anticoagulanti orali;
Cardioversione con agenti farmacologici;
Ablazione con catetere della fibrillazione atriale.
Sono state pubblicate dal National Institute for Health and Clinical Excellence (NICE) le linee guida sulla somministrazione di antibiotici nelle infezioni neonatali ad una insorgenza entro le 72 ore dalla nascita. Queste infezioni sono di solito causate da microrganismi dal tratto genitale della madre, incluso il gruppo BStreptococcus (GBS ), E. coli, Pseudomonas e Klebsiella . Tali infezioni possono svilupparsi improvvisamente e rapidamente, con una mortalità particolarmente elevato nei neonati prematuri e quelli con un basso peso alla nascita.
I neonati con sospetta infezione dovrebbero ricevere antibiotici il più rapidamente possibile (entro 1 ora). Il trattamento dovrebbe essere per via intravenosa di Benzilpenicillina e gentamicina usati in combinazione.
L’uso continuato di marijuana prima dei 18 anni causa dei danni all’attenzione, la memoria e l’intelligenza. Analizzando mille neozelandesi ricercatori della Duke University hanno riscontrato una riduzione media di 8 punti nel quoziente intellettivo.
I ricercatori hanno trovato conferma alle loro ipotesi nell’analisi dei dati raccolti nel corso del monitoraggio di 1.037 neozelandesi, nati nel biennio 1972-73 a Durbelin e seguiti fin dalla loro nascita sino all’età di 38 anni.
“Abbiamo testato le loro abilità mentali (la velocità di elaborazione, il ragionamento e l’elaborazione visiva) quando erano ragazzi (all’età di 13 anni) prima che iniziassero a fumare cannabis e, passati 25 anni, li abbiamo testati nuovamente dopo che molti partecipanti sono diventati consumatori cronici di cannabis”, ha detto la professoressa Terrie Moffitt, uno degli autori della ricerca.
Ne è emerso che chi ha consumato quantità importanti di marijuana ha evidenziato un calo medio di 8 punti nel proprio QI. L’uso di marijuana nell’adolescenza è molto neurotossico perché è proprio l’adolescenza il momento in cui il cervello sta maturando e la marijuana può danneggiare le cellule cerebrali in maniera permanente.
Le linee guida includono le evidence-based per la valutazione delle causa della malattia, il trattamento e la gestione di ipotiroidismo, ipertiroidismo, ipertiroidismo gestazionale, autoimmunità tiroidea, tumori della tiroide, la iodio nutrizione, la tiroidite post-partum, e lo screening per le malattie della tiroide. Sono presentati anche indicazioni ed effetti collaterali di agenti terapeutici utilizzati nei trattamenti.
La pubblicazione completa si trova su J Clin Endocrinol Metab 2012 97: 2543-2565 (in abbonamento) di seguito viene riportato un executive summary.
Per la prima volta un team di ricercatori guidato dal Children Hospital di Boston è riuscito a creare un tessuto formato a partire da cellule coltivate con all’interno dei sensori biocompatibili. La scoperta, descritta su ‘Nature Materials‘, servirà per tessuti artificiali con un ‘sistema nervoso’, oltre che per lo screening di nuovi farmaci.
credit image: Charles Lieber and Daniel Kohane
“Nel corpo c’e’ un sistema nervoso autonomo che registra fattori come il ph, il livello di ossigeno e altre sostanze chimiche e stimola risposte quando e’ necessario – afferma il Dr. Kohane del Dipartimento di Anestesia al Boston Children’s Hospital– dobbiamo riuscire ad imitare questo sistema anche nei tessuti artificiali”. I ricercatori ci sono riusciti ed hanno realizzato un network di nanosensori di circa 80 milionesimi di millimetro in una conformazione reticolare simile a un bastoncino di cotone, abbastanza poroso da permettere la crescita tridimensionale di cellule. Nei tessuti risultanti e’ stato possibile misurare i segnali elettrici indotti dai sensori e anche stimolare alcune funzioni.
Promettente nuovo farmaco per il trattamento e la prevenzione dello scompenso cardiaco è stato scoperto dai ricercatori del Mount Sinai School of Medicine di New York, NY, Stati Uniti. Lo studio è stato presentato al Congresso ESC 2012 dal professor Roger J. Hajjar.
I sintomi più comuni di insufficienza cardiaca sono mancanza di respiro, sensazione di stanchezza e gonfiore alle caviglie, piedi, gambe, e, talvolta, l’addome.
I ricercatori hanno scoperto che SUMO1 (ubiquitina-like modificata), una piccola proteina che regola l’attività dei geni trasportatori, può giocare un ruolo importante nella patogenesi dello scompenso cardiaco. In particolare SUMO1 è un regolatore del gene trasportatore SERCA2a, e si è dimostrato stabilizzante e migliorativo dell’attività enzimatica.
Quando i ricercatori hanno iniettato SUMO1 come terapia genica (un vettore-virus inattivo agisce come un farmaco trasportatore), hanno scoperto che proteggeva SERCA2a da stress ossidativi che sono prevalenti nello scompenso cardiaco.
Roger Hajjar: “Delivering SUMOI and SERCA2a concomitantly seems to produce synergistic benefits.”
Tutti gli esperimenti sono stati condotti in topi e ratti e in un modello preclinico di insufficienza cardiaca nei suini. “Questo studio ribadisce l’importanza di SERCA2a come obiettivo nello scompenso cardiaco, la nostra scoperta evidenzia il ruolo fondamentale che gioca SUMO1 nel migliorare la funzione SERCA2a nello scompenso cardiaco, si spera, che ciò possa portare a nuove strategie di trattamento per i pazienti con insufficienza cardiaca . ”
Scienziati americani hanno sviluppato una molecola artificiale in grado di arrestare il rifornimento alle cellule del cancro, gli effetti sono in una molecola chiamata Wnt.
Il peptide finora è stato testato solo nei topi, ma “può servire un agente terapeutico prototipo” per i pazienti, secondo i ricercatori della Harvard Medical School. Wnt è parte di una rete di segnalazione molecolare che controlla i diversi processi cellulari normali. Quando questo sistema di regolazione della cellula va storto si ha il cancro. Difetti di segnalazione Wnt si trovano in molti tipi di cancro, in particolare in quello dell’intestino.
La Dr Mariann Bienz del Cancer Cancer Research UK nel commentare il lavoro degli americani dice: “Una delle maggiori sfide nel ricerca sul cancro è trovare il modo per disarmare le molecole che alimentano la malattia, con lo studio si è riusciti a bloccare l’interazione tra le proteine all’interno delle cellule, anche se questo è notoriamente molto difficile. Si è dimostrato che è possibile bloccare l’interazione tra BCL9 e beta-catenina, due proteine chiave per la segnalazione Wnt ed intervenire su ciò che promuove il cancro”.
Gli scienziati della Aston University (Birmingham) e Russell Hall Hospital hanno scoperto che un estratto da una pianta comune in Pakistan può contribuire a curare il cancro al seno.
La pianta, Fagonia cretica, e conosciuto come Mantlem Virgon, viene comunemente usata come tisana. Gli scienziati hanno condotto dei test dell’ estratto vegetale e hanno dimostrato che uccide le cellule tumorali, senza danno alle cellule normali del seno in condizioni di laboratorio. Si è avuto l’arresto della crescita delle cellule tumorali dopo sole cinque ore dall’applicazione, e dopo 24 ore, tutte le cellule tumorali erano morte.
Ora il professor Amutul R Carmichael che coordina lo studio, punta ad identificare l’elemento o gli elementi della pianta responsabili dell’uccisione delle cellule tumorali al fine di iniziare finalmente le prove sui pazienti.
Non si tratta, di una scoperta recente ma di un rimedio antichissimo volto proprio all’utilizzo come anticancerogeno relegato, come sempre accade, a una credenza popolare. Lo studio, pubblicato sulla rivista scientifica PLoS ONE ha bisogno di ulteriori verifiche, tuttavia, può essere un buon trampolino di lancio per concepire farmaci anticancerogeni meno invasivi della classica chemioterapia.
Ne avevamo dato notizia alcuni mesi fa in un nostro post del 17 luglio, ora nel corso del 244th National Meeting & Exposition of the American Chemical Society (ACS), tenutosi a Filadelfia in questi giorni, è stato confermato che il Massachussets Institute of Technology (MIT) di Boston è oramai vicino a lanciare un prodotto che dovrebbe restituire la voce a chi l’ha persa sia per vecchiaia, sia per malattie.
Il professor Robert Langer, del Mit, ha presentato un gel che può essere iniettato nelle corde vocali per aiutarle a vibrare come se fossero giovani e sane. Il bio-gel messo a punto si basa sul glicole polietilenico 30 (Peg30) ed è un prodotto già conosciuto e sperimentato in altri settori, in medicina e in cosmesi, e quindi non deve essere sottoposto ai lunghissimi e spesso annosi test della Food and Drug Administration.
Il prodotto vibra fino a 200 volte al secondo, al pari di ciò che accade nel corso di una conversazione sostenuta da un esponente di sesso femminile. Le precedenti sperimentazioni su modello animale hanno dimostrato la mancanza di pericoli e conseguenze per la salute.
I ricercatori hanno annunciato che i test sull’uomo cominceranno a metà del 2013. Il gel si degrada nel tempo, pertanto i pazienti dovrebbero ricevere 3-5 iniezioni nel corso di un anno.
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Una nuova ricerca suggerisce che un ingrediente chiave per mantenere sotto controllo l’osteoporosi può essere trovata nella dieta mediterranea tradizionale – l’olio d’oliva.
I risultati provengono da uno studio “Prevencion Dieta Mediterranea (PREDIMED)” condotto da ricercatori spagnoli pubblicato sulla rivista Journal of Clinical Endocrinology and Metabolism (JCEM) della Endocrine Society, in cui mostrano che il consumo di una dieta mediterranea arricchita con olio di oliva per due anni è associata ad un aumento delle concentrazioni di osteocalcina sierica, suggerendo una effetto protettivo sull’osso.
“L’assunzione di olio d’oliva è stato messo in relazione alla prevenzione di osteoporosi in sperimentale e modelli in vitro,” ha dichiarato José Manuel Fernández-Real – uno degli autori. “Questo è il primo studio randomizzato che dimostra che l’olio di oliva conserva osso, almeno come dedotto dalla circolazione marcatori ossei, negli esseri umani.”
Un composto presente nel tè verde potrebbe essere un’arma in trattamenti per combattere il cancro, secondo una ricerca pubblicata presso l’Università di Strathclyde a Glasgow, in Scozia.
L’estratto, noto come epigallocatechina gallato, è noto per avere preventive proprietà antitumorali ma non raggiunge i tumori quando viene formulato e somministrato per via endovenosa.
Research team – University of Strathclyde
I ricercatori sono riusciti ad incapsulare l’estratto di tè verde in vescicole e somministrarlo attraverso la transferrina, una proteina plasmatica che trasporta ferro attraverso il sangue. I recettori per la transferrina si trovano in grandi quantità in molti tumori.
Dai risultati si ha una riduzione della dimensione di molti tumori, in alcuni casi, la rimozione completa. Il Dr. Christine Dufès, docente presso l’Istituto Strathclyde di Farmacia e Scienze Biomediche, che ha guidato la ricerca afferma: “Questi sono risultati molto incoraggianti che speriamo possano aprire la strada a nuovi trattamenti per il cancro.
Scoperta la proteina-sentinella del cervello che difende dal morbo di Parkinson. L’ha individuata nei topi una ricerca guidata dai ricercatori italiani dell’Istituto Nazionale di Neuroscienze (Inn) e pubblicata sulla rivista Brain.
La proteina si chiama c-Rel e ha il compito di proteggere i mitocondri, le centrali energetiche delle cellule del cervello dai danni provocati dai radicali liberi. Quando la proteina c-Rel non funziona o cessa di essere prodotta, compaiono tutti i principali sintomi della malattia.
La ricerca ha dimostrato come nei topi il blocco dell’espressione della proteina c-Rel porti alla perdita dei neuroni della cosiddetta sostanza nera (molto ricca di mitocondri) all’eta’ di 18 mesi (che nell’uomo corrispondono all’incirca a 60 anni) e all’insorgenza dei sintomi della malattia.
“Ora dobbiamo capire – ha spiegato Marina Pizzi, coordinatrice dello studio – come c-Rel, una proteina deputata alla protezione dei mitocondri di tutto l’organismo, possa svolgere un ruolo così cruciale proprio a livello delle cellule della sostanza nera”. Uno dei prossimi obiettivi della ricerca sarà individuare una strategia farmacologica efficace per attivare la proteina sentinella c-Rel.“
Leggi il full text dell’articolo in formato pdf: Late-onset Parkinsonism in NFκB/c-Rel-deficient mice
Cristina Baiguera, Manuela Alghisi, Annalisa Pinna, Arianna Bellucci, Maria Antonietta De Luca, Lucia Frau, Micaela Morelli, Rosaria Ingrassia, Marina Benarese, Vanessa Porrini, Michele Pellitteri, Giuseppe Bertini, Paolo Francesco Fabene, Sandra Sigala, Maria Grazia Spillantini, Hsiou-Chi Liou, Pier Franco Spano, and Marina Pizzi Brain first published online August 21, 2012
Bioingegneri presso Strathclyde University hanno sviluppato una tecnica d’avanguardia per recuperare il sangue perso durante le principali operazioni chirurgiche. Il dispositivo denominato HemoSep è destinato a rivoluzionare il settore della sanità dopo aver ottenuto il marchio CE e la ricezione canadese di omologazione di portata nazionale, a seguito di studi clinici di grande successo in tutto il mondo leader Università di Kirikkale University Hospital di Ankara, Turchia.
Il dispositivo è progettato per recuperare il sangue durante la chirurgia a cuore aperto o traumi, concentrarlo e ridarlo di ritorno al paziente. Questo processo, noto come autotrasfusione permette al paziente di avere indietro il suo sangue riducendo i rischi e i costi di trasfusioni.
Il professor Terry Gourlay, che ha guidato lo sviluppo della tecnologia ha affermato:”L’introduzione di HemoSep nel settore dei dispositivi medici farà una differenza significativa per la vita delle persone e ridurrà notevolmente i costi e i rischi associati con le trasfusioni di sangue. La tecnologia ha dei vantaggi notevoli rispetto alle tecniche tradizionali tecnicamente impegnative che prevedono l’utilizzo della centrifuga e di apparecchiatura di pompaggio oltre che tecnici specializzati”. “La tecnologia HemoSep ha prodotto risultati impressionanti, è il metodo più facile che abbiamo mai usato.”
Negli studi clinici, effettuati in oltre 100 interventi di chirurgia a cuore aperto, l’uso del dispositivo HemoSep ha ridotto significativamente la necessità di trasfusioni di sangue con conservazione dei normali meccanismi di coagulazione e una riduzione della reazione infiammatoria spesso incontrata dopo tali procedure chirurgiche.
Gli antibiotici, soprattutto se assunti da bambini con meno di 6 mesi di età, può spostare l’equilibrio dei batteri nell’intestino e può preparare il terreno per l’obesità. Lo studio, che appare sulla rivista “International Journal of Obesity“, ha trovato che i bambini trattati con antibiotici prima dei 6 mesi di età hanno il 22% in più di probabilità di essere in sovrappeso, quando avranno poco più di 3 anni.
Gli effetti tendono a svanire quando l’assunzione degli antibiotici supera i 6 mesi.
Lo studio condotto dai ricercatori della NYU School of Medicine, ha valutato l’uso di antibiotici in 11,532 bambini nati nel 1991 e 1992.
Un nuovo studio sta sollevando alcune preoccupazioni circa l’uso dell’anestesia generale nei bambini piccoli. Recenti studi avevano evidenziato che i farmaci anestetici possono aumentare il rischio di difficoltà di apprendimento e problemi comportamentali come deficit di attenzione e iperattività ( ADHD ), ma solo nei bambini che prendevano in associazione altri farmaci.
Questo studio, pubblicato sulla rivista Pediatrics, evidenzia che anche una singola dose di anestesia somministrata prima dei tre anni può nuocere più avanti nell’età, fino a 10 anni.
“Se i bambini hanno bisogno di un intervento chirurgico, è necessario valutare tutti i rischi e tutti i benefici in termini di ciò che si deve fare,” afferma Lena S. Sun, MD, un anestesista pediatrico presso la Columbia University Medical Center di New York.
Il nuovo studio si basa sui dati provenienti da quasi 2.900 bambini in Australia seguiti dai ricercatori fin da prima della loro nascita.
I bambini esposti ad anestesia avevano più del doppio delle probabilità di disabilità nel linguaggio ed in alcuni problemi casi anche comportamentali o di attenzione.
“Lo studio è molto ben fatto ed è uno studio importante, ma dobbiamo stare attenti a dare l’allarme generale, anche perchè non si è ben saputo quali sono i farmaci utilizzati e i dati devono essere riverificati. Se il bambino ha bisogno di un intervento chirurgico, non c’è modo di evitare l’anestesia in questo momento” afferma Michael Roizen, direttore presso la Cleveland Clinic, in Ohio.
Ogni organo produce rifiuti, e il cervello non fa eccezione, ma a differenza del resto del nostro corpo non dispone di un sistema linfatico, una rete di vasi che filtrano la spazzatura. Ora, un nuovo studio sul cervello dei topi suggerisce come vengono trattati i rifiuti. La scoperta, riportata sulla rivista Science Translatiponal Medicine potrebbe suggerire possibili trattamenti per malattie come l’Alzheimer.
Grazie alle nuove tecniche di imaging si è potuto scrutare all’interno del cervello di un topo vivo, e vedere i processi in atto. Il fluido cerebrospinale che scorre all’esterno dei vasi sanguigni, attraverso una rete di tubi raccoglie i rifiuti che si sono accumulati tra le cellule, e li scarica attraverso le vene principali.
Si è dimostrato che il cervello dei topi con carenza di questi canali accumula i rifiuti, tra cui la proteina amiloide, l’accumulo è legato alla malattia di Alzheimer. Gli animali ammalati eliminano il 70 per cento dei rifiuti più lentamente rispetto ai topi in possesso dei normali canali.
“Il cervello sano produce amiloide normalmente, ma in un sistema normalmente funzionante viene eliminata, affermano i ricercatori. Nel cervello di paziente con Alzheimer, si accumula e si accumula, fino a quando alla fine si formano le placche che possono ostruire il cervello”, ha detto Jeffrey J. Iliff – uno degli autori.
In teoria, si potrebbe prevenire o rallentare l’accumulo migliorando il sistema di lavaggio del cervello. “La chiave è, quella di trovare un modo per ‘alzare’ il sistema”, ha detto Iliff. “Dopo decenni di incertezza sul funzionamento del fluido cerebrospinale nel cervello, stiamo finalmente facendo un pò di luce”.
Questo può valere anche per altre condizioni cerebrali, come il morbo di Parkinson o ictus.
Gli scienziati sembrano essere un passo dalla realizzazione di una pillola di controllo delle nascite per gli uomini.
Uno studio pubblicato sulla rivista “Cell” descrive un farmaco sperimentale che, se assunto quotidianamente dai topi maschi, ha permesso di ridurre il numero di spermatozoi così tanto che gli animali sono stati resi sterili in modo efficace.
Il farmaco è una piccola molecola che i ricercatori hanno soprannominato JQ1 . Grazie alle sue dimensioni ridotte, è in grado di attraversare la barriera sangue-testicolo e raggiungere le cellule produttrici di spermatozoi. Una volta sul posto, JQ1 sembra legarsi con una proteina chiamata BRDT, interrompendo la sua normale funzione, impedendo alle cellule spermatiche di maturare.
Lo studio ha inoltre verificato che, poco dopo l’interruzione del trattamento con JQ1, lo sperma torna alle sue funzionalita’ normali e che l’assunzione di questa molecola non dimostra effetti sulla produzione di testosterone, non ha modificato il comportamento dei maschi ne’ inficiato la salute della prole nata dopo aver concluso la somministrazione di JQ1.
Naturalmente, i topi non sono persone, e non è ancora certo che questo approccio funziona negli esseri umani. Ma Matzuk ei suoi colleghi sono ottimista sul fatto questo perché le proteine BRDT nei topi e negli uomini sono molto simili. “Prevediamo che le nostre scoperte possono essere riproducibili negli uomini, fornendo una nuova strategia efficace per un nuovo contraccettivo maschile”.
Nella sclerosi multipla, il sistema immunitario attacca i nervi del cervello e midollo spinale, causando problemi di movimento, debolezza muscolare e la perdita della visione. Le cellule immunitarie chiamate cellule dendritiche, che sono state in precedenza individuate come importanti per l’insorgenza e lo sviluppo della sclerosi multipla, in realtà proteggono contro la malattia in un modello murino, secondo uno studio pubblicato dalla rivista Immunity.
Queste nuove conoscenze, affermano i ricercatori cambiano la nostra comprensione fondamentale delle origini della sclerosi multipla e potrebbe portare allo sviluppo di trattamenti più efficaci per la malattia. L’autore principale dello studio Nir Yogev della University Medical Center di Johannes Gutenberg di Mainz afferma: “I nostri risultati suggeriscono che le cellule dendritiche tengono sotto controllo il sistema immunitario, per cui il trasferimento di cellule dendritiche a pazienti affetti da sclerosi multipla potrebbe curare i difetti nelle cellule T e servire come un intervento efficace per la malattia”.”Questo approccio potrebbe essere applicato anche ad altre malattie autoimmuni, come la malattia infiammatoria intestinale (IBD) e la psoriasi.”
La codeina utilizzata come analgesico in bambini di 2-5 anni dopo un intervento chirurgico – come quelli otorinolaringoiatrici di tonsillectomia o adenoidectomia – ha causato casi di depressione respiratoria fatale. Lo ha annunciato la Food and Drugs Administration americana.
La codeina viene metabolizzata dal fegato in morfina, che è in grado di ridurre l’efficacia dell’attività respiratoria. I ricercatori sospettano che i gravi eventi avversi si siano verificati in soggetti “metabolizzatori ultra rapidi”, in cui un alto livello ematico di morfina può essere raggiunto velocemente. Questi soggetti sono l’1-2% tra i nord europei e il 29% tra i nord africani.
La FDA raccomanda di:
dare codeina solo se necessario per alleviare il dolore e non secondo un calendario prestabilito;
prescrivere la dose più bassa possibile di codeina per il più breve tempo possibile;
non dare ai bambini più di sei dosi di codeina ogni giorno;
tenere in stretta osservazione i bambini dopo l’intervento per individuare prima possibile i segni iniziali di una overdose di morfina, tra cui sonnolenza insolita, confusione, labbra e contorno della bocca di colorito bluastro, respiro affannoso o poco profondo.