L’American College of Gastroenterology (ACG) ha pubblicato nuove raccomandazioni sul cancro del colon-retto per il 2021 sull’American Journal of Gastroenterology. Le ultime raccomandazioni pubblicate per lo screening CRC risalgono al 2009.
I punti chiave delle linee guida di screening ACG CRC aggiornate al 2021 includono:
Ridurre l’età per iniziare lo screening CRC negli uomini e nelle donne a rischio medio a 45 anni.
Personalizza le decisioni per eseguire lo screening CRC dopo i 75 anni.
Lo screening dovrebbe essere un processo in più fasi.
Lo screening negli afroamericani dovrebbe iniziare all’età di 45 anni. Sono necessari sforzi speciali per migliorare i tassi di screening e ridurre le disparità di trattamento e di esito.
La capsula del colon dovrebbe essere un’opzione per lo screening CRC nelle persone che non vogliono o non sono in grado di sottoporsi a una colonscopia o a un test immunochimico fecale. Questo metodo può essere ripetuto in 5 anni se i risultati fossero negativi.
Lo screening CRC dovrebbe iniziare all’età di 40 anni o 10 anni prima che il parente più giovane fosse colpito. Quindi, le raccomandazioni sul rischio medio possono essere riprese per quelli con CRC o polipo avanzato in un FDR a 60 anni. Opzioni ragionevoli includono colonscopia o FIT.
Le misure di qualità per lo screening della colonscopia devono essere misurate da un endoscopista e quindi raggiungere i benchmark minimi per intubazioni cecali superiori al 95%, tasso di rilevamento di adenoma superiore al 25% e tempo di sospensione superiore a 6 minuti.
L’aspirina a basso dosaggio può essere utilizzata in aggiunta allo screening CRC in individui di età compresa tra 50 e 69 anni con rischio di malattie cardiovascolari superiore al 10% nei prossimi 10 anni, che non sono a maggior rischio di sanguinamento se sono disposti ad assumere l’aspirina almeno per 10 anni per diminuire il rischio di CRC.
Dovrebbero essere sviluppati programmi di screening organizzati per migliorare l’aderenza dello screening CRC allo screening CRC e il follow-up con screening in due fasi se positivo.
Dovrebbero essere implementate strategie migliori per uno screening più organizzato; questi includono la navigazione del paziente, promemoria per il paziente, interventi medici, raccomandazioni del fornitore e strumenti di supporto alle decisioni cliniche.
Nessun ulteriore lavoro dovrebbe essere richiesto se un test del DNA delle feci multitarget positivo è seguito da una colonscopia senza risultati. A 10 anni, dovrebbe essere offerto lo screening ripetuto.
Leggi il full text dell’articolo: ACG Clinical Guidelines: Colorectal Cancer Screening 2021 Shaukat, Aasma MD, MPH, FACG1,2; Kahi, Charles J. MD, MSc, FACG3,7; Burke, Carol A. MD, FACG4; Rabeneck, Linda MD, MPH, MACG5; Sauer, Bryan G. MD, MSc, FACG (GRADE Methodologist)6; Rex, Douglas K. MD, MACG3 The American Journal of Gastroenterology: March 2021 – Volume 116 – Issue 3 – p 458-479 doi: 10.14309/ajg.0000000000001122
I ricercatori del CeMM Research Center for Molecular Medicine of the Austrian Academy of Sciences and the Medical University of Vienna hanno dimostrato che SARS-CoV-2 può rendersi irriconoscibile alla risposta immunitaria delle cellule T-killer attraverso mutazioni. I risultati dei gruppi di ricerca austriaci forniscono importanti indizi per l’ulteriore sviluppo dei vaccini e sono stati pubblicati sulla rivista “Science Immunology“.
Due protagonisti giocano un ruolo centrale: gli anticorpi e le cellule T-killer (chiamate anche cellule T CD8 citotossiche). Mentre gli anticorpi si attaccano direttamente ai virus per renderli innocui, le cellule T-killer riconoscono i frammenti di proteine virali sulle cellule infette e successivamente le uccidono per fermare la produzione del virus.
I ricercatori hanno studiato l’effetto delle mutazioni virali nei cosiddetti epitopi delle cellule T, cioè nelle regioni riconosciute da cellule killer. Hanno sequenziato 750 genomi virali SARS-CoV-2 da individui infetti ed hanno analizzato le mutazioni per il loro potenziale di alterare gli epitopi delle cellule T. “I nostri risultati mostrano che molte mutazioni in SARS-CoV-2 sono effettivamente in grado di farlo. Con l’aiuto di indagini bioinformatiche e biochimiche, nonché esperimenti di laboratorio con cellule del sangue di pazienti COVID-19, siamo stati in grado di dimostrare che i virus mutati non possono più essere riconosciuti dalle cellule T-killer in queste regioni“, afferma il prof. Andreas Bergthaler.
Scarica e leggi il full text dell’articolo: SARS-CoV-2 mutations in MHC-I-restricted epitopes evade CD8+ T cell responses BY BENEDIKT AGERER, MAXIMILIAN KOBLISCHKE, VENUGOPAL GUDIPATI, LUIS FERNANDO MONTAÑO-GUTIERREZ, MARK SMYTH, ALEXANDRA POPA, JAKOB-WENDELIN GENGER, LUKAS ENDLER, DAVID M. FLORIAN…….. JUDITH H. ABERLE, ANDREAS BERGTHALER Science Immunology 04 Mar 2021: Vol. 6, Issue 57, eabg6461 DOI: 10.1126/sciimmunol.abg6461
Essere anziani, sovrappeso e avere bassi livelli di emoglobina (meno globuli rossi) potrebbe aumentare il rischio di un paziente di sviluppare danni ai nervi debilitanti dopo la chemioterapia, ha rivelarlo un gruppo di ricercatori guidato da UNSW di Sydney.
I ricercatori hanno identificato i fattori di rischio clinici e basati sul sangue prima del trattamento in pazienti che sviluppavano neuropatia periferica indotta dalla chemioterapia (CIPN) – danni ai nervi in parti del corpo periferiche, come mani o piedi, a seguito della chemioterapia.
Lo studio, pubblicato su “JAMA Network Open“, ha esaminato pazienti – per lo più donne – che hanno ricevuto un trattamento chemioterapico con paclitaxel o oxaliplatino, che sono trattamenti comuni per i tumori al seno, colorettali e ginecologici.
“Ci sono pochi fattori di rischio accertati per questo danno ai nervi. Abbiamo scoperto che i pazienti con bassa emoglobina all’inizio del trattamento e quelli che avevano un indice di massa corporea (BMI) più alto erano più suscettibili allo sviluppo di danni ai nervi. Anche i pazienti più anziani sembravano essere più a rischio” afferma il prof. David Goldstein.
Leggi il full text dell’articolo: Hemoglobin, Body Mass Index, and Age as Risk Factors for Paclitaxel- and Oxaliplatin-Induced Peripheral Neuropathy Mizrahi D, Park SB, Li T, et al. JAMA Netw Open. 2021;4(2):e2036695. doi:10.1001/jamanetworkopen.2020.36695
Le placche amiloidi sono segni patologici della malattia di Alzheimer (AD): ciuffi di proteine mal ripiegate che si accumulano nel cervello, interrompendo e uccidendo i neuroni e provocando il progressivo deterioramento cognitivo caratteristico del diffuso disturbo neurologico.
In this artist’s rendering, amyloid plaques are interspersed among neurons. These aggregates of misfolded proteins disrupt and kill brain cells, and are a hallmark of Alzheimer’s disease. Photo credit: National Institute of Aging
Negli studi che utilizzano roditori e scimmie, i ricercatori riferiscono che il farmaco è risultato sicuro ed efficace, aprendo la strada a possibili sperimentazioni cliniche sugli esseri umani.
Sono stati fatti diversi tentativi per trattare o prevenire l’AD utilizzando farmaci che inibiscono la β-secretasi o la γ-secretasi, ma molti di questi farmaci si sono dimostrati altamente tossici o pericolosi per l’uomo, probabilmente perché sono necessarie β-secretasi e γ-secretasi per scindere ulteriori proteine nel cervello e in altri organi.
I ricercatori hanno studiato il potenziale terapeutico dei farmaci noti come modulatori della γ-secretasi o GSM, che invece di inibire l’enzima γ-secretasi, alterano leggermente la sua attività in modo che produca meno peptidi Aβ che sono inclini a formare placche. “Futuri studi clinici determineranno se questo promettente GSM è sicuro per gli esseri umani e potrebbe essere utilizzato per trattare o prevenire efficacemente la malattia di Alzheimer” afferma Rudolph Tanzi, PhD, professore di neurologia presso la Harvard Medical School.
Leggi il full text dell’articolo: Preclinical validation of a potent γ-secretase modulator for Alzheimer’s disease prevention. Kevin D. Rynearson, Moorthi Ponnusamy, Olga Prikhodko, Yuhuan Xie, Can Zhang, Phuong Nguyen, Brenda Hug, Mariko Sawa, Ann Becker, Brian Spencer, Jazmin Florio, Michael Mante, Bahar Salehi, Carlos Arias, Douglas Galasko, Brian P. Head, Graham Johnson, Jiunn H. Lin, Steven K. Duddy, Robert A. Rissman, William C. Mobley, Gopal Thinakaran, Rudolph E. Tanzi, Steven L. Wagner J Exp Med 5 April 2021; 218 (4): e20202560. doi: https://doi.org/10.1084/jem.20202560
Il danno epatico indotto da farmaci idiosincratici (drug-induced liver injury- DILI) causato da xenobiotici (farmaci, erbe e integratori alimentari) è una causa rara di malattia del fegato che presenta una vasta gamma di fenotipi e gravità della malattia, epatite acuta che mima l’epatite virale all’epatite autoimmune, steatosi, fibrosi o rare sindromi vascolari croniche.
Pochi studi prospettici stanno valutando la reale prevalenza e incidenza dell’epatotossicità nella popolazione generale.
Questo position paper pubblicato su “Annals of Hepatology“, descrive i farmaci più frequenti e il DILI indotto da erbe in America Latina, concentrandosi principalmente su diverse caratteristiche dei farmaci responsabili. Inoltre, sono stati evidenziato i punti più critici sulla gestione dell’epatotossicità in generale e quelli basati sui risultati dell’esperienza latinoamericana in particolare. Sebbene la maggior parte dei registri non effettui studi basati sulla popolazione, questo può fornire dati importanti relativi alla prevalenza di DILI e possono anche essere utili per confrontare caratteristiche di diversi paesi.
Un enorme database internazionale aiuterà gli epidemiologi a rispondere a domande sul coronavirus SARS-CoV-2, come la rapidità con cui le nuove varianti si diffondono tra le persone, se i vaccini proteggono contro di loro e quanto dura l’immunità al COVID-19.
A differenza del dashboard globale COVID-19 gestito dalla Johns Hopkins University di Baltimora, nel Maryland, e di altri popolari tracker che elencano le infezioni e i decessi da COVID-19 complessivi, il nuovo repository dell’iniziativa di data science chiamata Global.health raccoglie una quantità senza precedenti di dati anonimi informazioni sui singoli casi in un unico posto. Per ogni individuo, il database include fino a 40 variabili associate, come la data in cui hanno avuto i primi sintomi di COVID-19, la data in cui hanno ricevuto un test positivo e la loro storia di viaggio.
Il repository è stato creato da 21 ricercatori di 7 istituzioni accademiche negli Stati Uniti e in Europa, con il supporto tecnico e finanziario di Google e della Fondazione Rockefeller. Finora, il team ha raccolto informazioni da 24 milioni di casi in circa 150 paesi.
Sono state pubblicate dalla Japanese Society of Gastroenterology sulla rivista “Journal of Gastroenterology” le linee guida sul trattamento della sindrome dell’intestino irritabile.
La Japanese Society of Gastroenterology (JSGE) ha pubblicato la prima edizione delle linee guida di pratica clinica basate sull’evidenza per l’IBS nel 2015. Da allora si sono accumulate molte più prove e sono stati sviluppati nuovi agenti farmacologici e metodi non farmacologici. Ora è stata pubblicata la seconda edizione delle linee guida JSGE-IBS che comprende 41 domande comprese 12 domande di base su epidemiologia, fisiopatologia e criteri diagnostici, 26 domande cliniche su diagnosi e trattamento e 3 domande sulla ricerca futura. Per ogni domanda, vengono fornite dichiarazioni con o senza raccomandazioni e/o livello di evidenza e vengono forniti algoritmi diagnostici e terapeutici aggiornati sulla base di nuove evidenze.
Le sostanze perfluoroalchiliche (PFAS) sono una classe di composti chimici artificiali e una preoccupazione emergente attuale per la salute ambientale. Le sostanze PFAS hanno caratteristiche uniche – resistenza al calore, acqua, olio e macchie – che le rendono utili in una varietà di applicazioni industriali e apprezzate nei beni di consumo. Molti PFAS sono stabili e di lunga durata nell’ambiente.
L’uso industriale di alcuni di questi composti è stato interrotto; tuttavia, molti derivati sono ancora in commercio e altri sono in fase di sviluppo. I PFAS si trovano ora in molti compartimenti dell’ambiente.
Al fine di gestire i PFA nell’ambiente, molte ricerche sono state dirette alla comprensione delle loro fonti, destino e trasporto nell’ambiente e dei loro potenziali effetti sugli esseri umani e sulla fauna selvatica. Environmental Toxicology and Chemistry (ET&C) ha pubblicato un numero speciale dedicato ai PFAS con 32 articoli, fornendo una preziosa sintesi degli approcci di valutazione del rischio per PFAS, necessari ai gestori ambientali e agli organismi di regolamentazione per stabilire standard appropriati per l’acqua potabile e linee guida sulla salute.
E’ stata pubblicata una linea guida di pratica clinica a cura del Kidney Disease: Improving Global Outcomes (KDIGO) per la gestione della pressione sanguigna nella malattia renale cronica per pazienti non sottoposti a dialisi. Il documento rappresenta un aggiornamento alla linea guida KDIGO 2012 su questo argomento.
Lo scopo della linea guida è quello di include argomenti trattati nella linea guida originale, come obiettivi ottimali per la pressione sanguigna, interventi sullo stile di vita, farmaci antipertensivi e gestione specifica nei pazienti e nei bambini sottoposti a trapianto di rene. Sono esclusi alcuni aspetti della salute generale e cardiovascolare, come la gestione dei lipidi e del fumo.
Quando le persone invecchiano, le loro cellule staminali neurali perdono la capacità di proliferare e produrre nuovi neuroni, portando a un declino della funzione della memoria. I ricercatori dell’Università di Zurigo hanno ora scoperto un meccanismo legato all’invecchiamento delle cellule staminali e come riattivare la produzione di neuroni.
Stem cells in the mouse hippocampus (in blue): With increasing age, their ability to form new neurons decreases as the amount of the nuclear protein lamin B1 (in red) drops. (Image: Khadeesh bin Imtiaz, UZH)
L’elemento centrale in questo processo è una proteina nucleare chiamata lamina B1, i cui livelli diminuiscono con l’avanzare dell’età. Quando i ricercatori hanno aumentato i livelli di lamin B1 in esperimenti su topi anziani, la divisione delle cellule staminali è migliorata e il numero di nuovi neuroni è cresciuto. “Invecchiando, le cellule staminali in tutto il corpo perdono gradualmente la loro capacità di proliferare. Utilizzando l’ingegneria genetica e la tecnologia dei microscopi all’avanguardia, siamo stati in grado di identificare un meccanismo associato a questo processo“, afferma il dott. Khadeesh bin Imtiaz.
Le linee guida di pratica clinica basate sull’evidenza nella gestione dei tumori del sistema nervoso centrale (SNC) continuano a essere sviluppate e aggiornate attraverso il lavoro della Joint Section on Tumors of the Congress of Neurological Surgeons (CNS) e dell’American Association of Neurological Surgeons ( AANS).
Questo aggiornamento riassume le linee guida della sezione sui tumori sviluppate negli ultimi cinque anni per adenomi ipofisari non funzionanti, gliomi di basso grado, schwannomi vestibolari (tumore intracranico benigno che origina dalle cellule di Schwann del nervo vestibolococleare) e tumori cerebrali metastatici.
Le varianti patogene del gene BRCA1 e BRCA2 rappresentano la maggior parte del cancro al seno ereditario e sono sempre più utilizzate per determinare l’idoneità alla terapia con inibitore PARP (PARPi) del cancro correlato a BRCA. Poiché i problemi del test BRCA nella pratica clinica ora si sovrappongono alla gestione sia preventiva che terapeutica, sono necessarie linee guida pratiche aggiornate e complete per la genotipizzazione BRCA.
Un gruppo internazionale di esperti, tra cui genetisti, oncologi medici e chirurgici, patologi, esperti di etica e rappresentanti dei pazienti ha sviluppato delle linee guida di pratica clinica per i test genetici BRCA1 e BRCA2. Le linee guida hanno lo scopo di: – identificare gli individui che possono trarre vantaggio dalla consulenza genetica e dalle strategie di riduzione del rischio; – aggiornare le indicazioni sulla linea germinale e sui test tumorali per le terapie approvate da PARPi; – fornire raccomandazioni sui test per la gestione personalizzata del carcinoma mammario precoce e metastatico; – affrontare le questioni del processo rapido e dell’analisi del tumore.
Gli scienziati della Northwestern University hanno identificato il primo composto che elimina la degenerazione in corso dei motoneuroni superiori che si ammalano. Si tratta di un contributore chiave alla SLA (sclerosi laterale amiotrofica), una malattia neurodegenerativa rapida e fatale che paralizza le sue vittime.
“Anche se i motoneuroni superiori sono responsabili dell’inizio e della modulazione del movimento e la loro degenerazione è un evento precoce nella SLA, finora non c’è stata alcuna opzione di trattamento per migliorare la loro salute”, ha detto l’autore senior Hande Ozdinler, professore associato di neurologia presso la Northwestern University Feinberg School of Medicine. “Abbiamo identificato il primo composto che migliora la salute dei neuroni motori superiori che si ammalano“.
Il nuovo composto come descritto sul lavoro pubblicato su “Clinical and Translational Medicine” prende di mira i neuroni che avviano il movimento volontario. Dopo 60 giorni di trattamento, le cellule cerebrali malate sembrano cellule sane.
Lo studio è stato avviato dopo che è stato identificato un composto, NU-9, sviluppato dai ricercatori per la sua capacità di ridurre il ripiegamento errato delle proteine nelle linee cellulari critiche. Il composto non è tossico e attraversa la barriera ematoencefalica. Sono necessarie ulteriori ricerche prima che la sperimentazione clinica possa essere avviata. Ozdinler e colleghi completeranno ora studi tossicologici e farmacocinetici più dettagliati prima di iniziare una sperimentazione clinica di fase 1.
L’iniezione endovenosa di cellule staminali derivate dal midollo osseo (MSC) in pazienti con lesioni del midollo spinale ha portato ad un miglioramento significativo delle funzioni motorie; ad affermarlo i ricercatori dell’Università di Yale e del Giapponein un lavoro pubblicato sul “Journal of Clinical Neurology and Neurosurgery“.
Per più della metà dei pazienti, sono stati osservati miglioramenti sostanziali nelle funzioni chiave – come la capacità di camminare o di usare le mani – entro poche settimane dall’iniezione di cellule staminali, riferiscono i ricercatori. Non sono stati riportati effetti collaterali sostanziali.
I pazienti avevano subito lesioni del midollo spinale non penetranti, in molti casi dovute a cadute o traumi minori, diverse settimane prima dell’impianto delle cellule staminali. I loro sintomi includevano perdita della funzione motoria e della coordinazione, perdita sensoriale e disfunzione dell’intestino e della vescica. Le cellule staminali sono state preparate dal midollo osseo dei pazienti, tramite un protocollo di coltura che ha richiesto alcune settimane in un centro specializzato di elaborazione cellulare.
“Risultati simili con le cellule staminali in pazienti con ictus aumentano la nostra fiducia che questo approccio possa essere clinicamente utile“, ha osservato il prof. Kocsis. “Questo studio clinico è il culmine di un ampio lavoro di laboratorio preclinico utilizzando MSC tra i colleghi di Yale e Sapporo per molti anni“.
Due nuovi studi si aggiungono alle crescente mole di ricerche che dimostrano come i test salivari siano una valida alternativa ai tamponi naso-faringei.
Non solo più pratici e meno invasivi. I test salivari sono molto sensibili nel rilevare il coronavirus, anche più dei tamponi naso-faringei.
(foto: SolStock via Getty Images)
Il primo lavoro, pubblicato su Scientific Reports e svolto dai ricercatori dell’Università di Singapore, evidenzia come questi test sarebbero particolarmente efficaci sia sugli asintomatici sia su chi ha una forma di Covid-19 lieve e una bassa carica virale. “I nostri risultati sono coerenti con prove già pubblicate che mostrano come il campionamento della saliva sia una valida alternativa per lo screening e la diagnosi della Covid-19 e che può essere anche più sensibile del tampone naso-faringeo”, scrivono gli autori.
Il secondo studio, pubblicato dall’organizzazione International Federation of Clinical Chemistry and Laboratory Medicine e svolto dai ricercatori dell’Università di Padova coordinati dal prof. Mario Plebani – direttore del Dipartimento interaziendale di Medicina di Laboratorio. In questo caso, sono stati esaminati 5579 dipendenti dell’ateneo, per un totale di quasi 20 mila campioni salivari, auto-raccolti in una provetta che contiene un batuffolo di cotone da masticare per un minuto, e analizzati con la tecnica della Pcr. Nell’arco di tempo della sperimentazione (11 settimane), sono stati identificati 62 campioni positivi di partecipanti che sono stati poi sottoposti entro 24 ore dal risultato al tampone naso-farigeo. Dalle analisi, i test hanno avuto una concordanza nel 98% dei casi.
Risultati, quindi, che dimostrano come questo sistema di prelievo della saliva sia più vantaggioso della raccolta di campioni naso-faringei sia in termini di procedure che di tempi.
“Entro 24 ore dal risultato positivo, è stato attivato il tracciamento dei contatti per dipendenti e studenti che frequentano lo stesso ambiente di lavoro”, commenta il coordinatore dello studio prof. Mario Plebani. “Questa strategia ha permesso di identificare altri tre dipendenti positivi, che sono stati immediatamente isolati, impedendo così lo svilupparsi di focolai all’interno dell’Università”.
Articoli correlati: Diagnostic Salivary Tests for SARS-CoV-2 L. Azzi, V. Maurino, A. Baj, M. Dani, A. d’Aiuto, M. Fasano, M. Lualdi, F. Sessa, and T. Alberio. Journal of Dental Research 2021, Vol. 100(2) 115–123
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E’ stata pubblicata sulla rivista “Jama” una review sulla diagnosie trattamento del cancro colon-retto. Mentre la prognosi complessiva per il CRC metastatico rimane infausta, con meno del 20% dei pazienti che sopravvivono oltre i 5 anni, i progressi nella diagnosi e nel trattamento del CRC metastatico non resecabile hanno consentito cure personalizzate basate sul profilo molecolare del tumore con risultati migliori per alcuni sottotipi. Il profilo genomico consente la selezione del trattamento in modo che più pazienti traggano beneficio e meno siano esposti alla tossicità da terapie inefficaci.
Questa revisione riassume le opzioni di trattamento per i pazienti con carcinoma colorettale metastatico non resecabile, concentrandosi sull’importanza del profilo genomico per identificare le varianti KRAS / NRAS / BRAF per guidare l’immunoterapia.
Gli scienziati del Translational Genomics Research Institute (TGen) hanno trovato un modo per concentrarsi sul cancro allo stadio iniziale analizzando brevi filamenti di DNA libero da cellule nelle urine. I risultati del loro studio sono stati pubblicati oggi sulla rivista scientifica “Science Translational Medicine“.
I ricercatori di TGen e City of Hope e i loro colleghi della Baylor University e del Phoenix Children’s Hospital hanno scoperto che dei frammenti di DNA non sono affatto casuali e possono indicare chiaramente una differenza tra individui sani e quelli con cancro.
“Ci sono molti passaggi tra dove siamo ora e dove vogliamo andare – rilevare il cancro da un campione di urina – ma senza dubbio questo è un primo passo incoraggiante“, ha detto il dott. Muhammed Murtaza.
La raccolta di un campione di urina riduce a zero l’invasività fisica, ha spiegato il dottor Murtaza, e può eliminare una visita di laboratorio, dato che il campione potrebbe essere raccolto a casa e spedito per l’analisi.
Studiando campioni di tessuto di bambini con vari tipi di cancro, le cui neoplasie spesso si muovono in modo straordinariamente veloce, e adulti con cancro al pancreas, la cui diagnosi precoce è fondamentale per i loro esiti della malattia, i ricercatori hanno mappato i profili di frammentazione del DNA nelle loro urine.
“Abbiamo scoperto che alcune regioni del genoma sono protette dalla frammentazione nelle urine di individui sani, ma le stesse regioni sono più frammentate nei pazienti con cancro“, ha detto il dott. Murtaza.
Sebbene i primi risultati siano promettenti, i ricercatori indicano la necessità di testare i loro risultati in popolazioni molto più ampie di pazienti affetti da cancro e identificare le differenze tra uomini e donne, giovani e anziani e quelli con comorbilità, come il diabete e altre malattie croniche.
Leggi il full text dell’articolo: Analysis of recurrently protected genomic regions in cell-free DNA found in urine BY HAVELL MARKUS, JUN ZHAO, TANIA CONTENTE-CUOMO, MICHELLE D. STEPHENS, ELIZABETH RAUPACH, AHUVA ODENHEIMER-BERGMAN, SYDNEY CONNOR, BRADON R. MCDONALD, BETHINE MOORE, ELIZABETH HUTCHINS, MARISSA MCGILVREY, MICHELINA C. DE LA MAZA, KENDALL VAN KEUREN-JENSEN, PATRICK PIRROTTE, AJAY GOEL, CARLOS BECERRA, DANIEL D. VON HOFF, SCOTT A. CELINSKI, POOJA HINGORANI, MUHAMMED MURTAZA Science Translational Medicine 17 Feb 2021: Vol. 13, Issue 581, eaaz3088 DOI: 10.1126/scitranslmed.aaz3088
I ricercatori della Washington University School of Medicine di St. Louis hanno identificato un anticorpo che, nei topi, rimuove le placche amiloidi dal tessuto cerebrale e dai vasi sanguigni senza aumentare il rischio di sanguinamento cerebrale. L’anticorpo prende di mira un componente minore delle placche amiloidi noto come apolipoproteina E (APOE).
Amyloid deposits (blue) in mouse brain tissue and blood vessels are reduced after treatment with an antibody that targets the protein APOE (right), a minor component of amyloid deposits, compared to a placebo antibody (left). Amyloid deposits in the brain increase the risk of dementia and strokes. Researchers at Washington University School of Medicine in St. Louis have identified an antibody that clears amyloid deposits from the brain without raising the risk of brain bleeds.
Le placche amiloidi nei vasi sanguigni del cervello sono pericolose perché possono portare a blocchi o rotture che causano ictus. I ricercatori hanno scoperto un anticorpo chiamato HAE-4 che prende di mira una forma specifica di APOE umano che si trova scarsamente nelle placche amiloidi e innesca la rimozione delle placche dal tessuto cerebrale.
Gli esperimenti hanno dimostrato che otto settimane di trattamento dei topi con HAE-4 hanno ridotto le placche amiloidi nel tessuto cerebrale e nei vasi sanguigni cerebrali. Il trattamento ha anche migliorato significativamente la capacità dei vasi sanguigni del cervello di dilatarsi e restringersi su richiesta, un segno importante di salute vascolare.
“Questo studio è entusiasmante perché non solo mostra che possiamo trattare la condizione in un modello animale, ma potremmo essere in grado di farlo senza gli effetti collaterali che minano l’efficacia di altre terapie anti-amiloidi” – afferma il prof. Holtzman.
I bambini sono protetti dal COVID-19 grave perché il loro sistema immunitario innato è pronto ad attaccare il virus, ha scoperto un nuovo studio.
La ricerca condotta dal Murdoch Children’s Research Institute (MCRI) e pubblicata su “Nature Communications“, ha scoperto che cellule specializzate nel sistema immunitario di un bambino prendono rapidamente di mira il nuovo coronavirus (SARS-CoV-2).
“I bambini hanno meno probabilità di contrarre il virus e fino a un terzo sono asintomatici, il che è sorprendentemente diverso dalla maggiore prevalenza e gravità osservata nei bambini per la maggior parte degli altri virus respiratori“, ha detto la prof.ssa Melanie Neeland del MCRI. “Il nostro studio dimostra che il sistema immunitario innato, la nostra prima linea di difesa contro i germi, è fondamentale per prevenire gravi COVID-19 nei bambini. È importante sottolineare che questa reazione immunitaria non è stata replicata tra gli adulti nello studio“- afferma la prof.ssa Neeland.
Sulla rivista JAMA è stata pubblicata una revisione sulla diagnosi e trattamento dell’osteoartrite dell’anca e del ginocchio.
I fattori di rischio dell’osteoartrosi, che può coinvolgere quasi tutte le articolazioni, includono l’età (il 33% degli individui di età superiore ai 75 anni presenta una OA sintomatica e radiografica del ginocchio), il sesso femminile, l’obesità, la genetica e le lesioni articolari maggiori.
Le iniezioni intra-articolari di steroidi forniscono sollievo dal dolore a breve termine e la duloxetina si è dimostrata efficace. Gli oppiacei dovrebbero essere evitati. Gli studi clinici hanno mostrato risultati promettenti per i composti che arrestano la progressione strutturale (p. Es., Inibitori della catepsina K, inibitori Wnt, fattori di crescita anabolici) o riducono il dolore (p. Es., Inibitori del fattore di crescita nervoso). Le persone con sintomi avanzati e danni strutturali sono candidati alla sostituzione totale dell’articolazione.
L’American Society of Hematology ha pubblicato una linea guida per la gestione del tromboembolismo venoso: prevenzione e trattamento nei pazienti con cancro.
Il tromboembolismo venoso (TEV) è una complicanza comune tra i pazienti con cancro. I pazienti con cancro e TEV presentano un rischio notevolmente aumentato di morbilità e mortalità.
Questa linea guida basata sull’evidenza dell’American Society of Hematology (ASH) ha lo scopo di supportare pazienti, medici e altri professionisti sanitari nelle loro decisioni sulla prevenzione e il trattamento della TEV nei pazienti con cancro.
Le raccomandazioni riguardano la profilassi meccanica e farmacologica nei pazienti ospedalizzati con cancro, quelli sottoposti a procedura chirurgica e pazienti ambulatoriali che ricevono chemioterapia antitumorale. Le raccomandazioni riguardano anche l’uso dell’anticoagulazione per il trattamento iniziale, a breve e a lungo termine del TEV nei pazienti con cancro.
Un antiossidante presente nel tè verde può aumentare i livelli di p53, una proteina naturale anti-cancro, nota come “guardiana del genoma” per la sua capacità di riparare i danni al DNA o distruggere le cellule cancerose. In particolare lo studio si focalizza sull’interazione diretta tra p53 e il composto del tè verde, epigallocatechina gallato (EGCG); si punta a un nuovo obiettivo per la scoperta di farmaci contro il cancro.
Il prof. Chunyu Wang del Rensselaer Polytechnic Institute afferma: “Ora scopriamo che esiste un’interazione diretta e precedentemente sconosciuta tra i due, che indica un nuovo percorso per lo sviluppo di farmaci anti-cancro. Il nostro lavoro aiuta a spiegare come l’EGCG sia in grado di aumentare l’attività anti-cancro di p53, aprendo la porta allo sviluppo di farmaci con composti simili all’EGCG“.
L’EGCG è un antiossidante naturale, il che significa che aiuta a riparare i danni quasi costanti causati dall’utilizzo del metabolismo dell’ossigeno. Trovato in abbondanza nel tè verde, EGCG è anche confezionato come integratore a base di erbe.
Il team del prof. Wang ha scoperto che l’interazione tra EGCG e p53 preserva la proteina dalla degradazione. In genere, dopo essere stato prodotto all’interno del corpo, la p53 viene rapidamente degradata quando interagisce con una proteina chiamata MDM2. Questo ciclo regolare di produzione e degradazione mantiene i livelli di p53 a una costante bassa. “Quando EGCG si lega con p53, la proteina non viene degradata attraverso MDM2, quindi il livello di p53 aumenterà con l’interazione diretta con EGCG, e questo significa che c’è più p53 per la funzione anti-cancro. Questa è un’interazione molto importante” – conclude il prof. Wang.
Sono state pubblicate sulla rivista “ASAIO Journal” a cura dell’ELSO (Extracorporeal Life Support Organization) delle linee guida sulla rianimazione extracorporea.
Scarica e leggi il documento in full text: Extracorporeal Cardiopulmonary Resuscitation in Adults. Interim Guideline Consensus Statement From the Extracorporeal Life Support Organization Richardson, Alexander (Sacha) C. MD, FCICM; Tonna, Joseph E. MD, MS†; Nanjayya, Vinodh MD; Nixon, Paul MD; Abrams, Darryl C. MD‡; Raman, Lakshmi MD§; Bernard, Stephen MD¶; Finney, Simon J. MD∥; Grunau, Brian MD#; Youngquist, Scott T. MD, MS†; McKellar, Stephen H. MD, MS†; Shinar, Zachary MD; Bartos, Jason A. MD, PhD††; Becker, LanceB. MD‡‡; Yannopoulos, Demetris MD††; BˇELOHLÁVEK, Jan MD, PhD§§; Lamhaut, Lionel MD¶¶; Pellegrino, Vincent MD ASAIO Journal: February 1, 2021 – Volume Online First – Issue – doi: 10.1097/MAT.0000000000001344
Gli scienziati del St John’s College – University of Cambridge hanno compiuto un “passo fondamentale” verso la comprensione delle origini del morbo di Parkinson, la condizione neurologica in più rapida crescita nel mondo. Uno studio pubblicato su “Nature Communications” oggi 10 febbraio presenta nuove prove convincenti su ciò che una proteina chiave chiamata alfa-sinucleina fa effettivamente nei neuroni del cervello.
Illustrazione 3D che mostra i neuroni contenenti piccole sfere rosse di corpi di Lewy che sono depositi di proteine accumulate nelle cellule cerebrali che causano la loro progressiva degenerazione. Immagine in alto: degenerazione del neurone dopaminergico, una fase chiave dello sviluppo del morbo di Parkinson, illustrazione 3D. Crediti: Kateryna Kon tramite Shutterstock.
La dott.ssa Giuliana Fusco, ricercatrice presso il St John’s College, Università di Cambridge, e autrice principale dell’articolo, ha dichiarato: “Questo studio potrebbe sbloccare ulteriori informazioni su questo disturbo neurodegenerativo debilitante che può lasciare le persone incapaci di camminare e parlare. Se vogliamo curare il Parkinson, dobbiamo prima capire la funzione dell’alfa-sinucleina, una proteina presente nel cervello di tutti. Questa ricerca è un passo fondamentale verso questo obiettivo“.
Il professor Alfonso De Simone, dell’Imperial College di Londra e uno degli autori dell’articolo, ha dichiarato: “Quando questa proteina funziona normalmente, gioca un ruolo importante nei meccanismi attraverso i quali i neuroni scambiano segnali nel cervello. Ma ha un lato oscuro perché non funziona correttamente e inizia a restare insieme in grumi che alla fine si diffondono e uccidono le cellule cerebrali sane“. “La nostra ricerca ha dimostrato che questa proteina si aggrappa alla faccia interna della membrana plasmatica delle cellule cerebrali, quindi stiamo lentamente costruendo un quadro di questo disturbo molto complesso studiando la funzione chiave dell’alfa-sinucleina“.