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Archive for 28 luglio 2016

Scoperta una chiave per bloccare le cellule tumorali.

Posted by giorgiobertin su luglio 28, 2016

Un team di ricercatori dell’Università di Washington e dell’Università di Trento in Italia (Lab of Molecular and Cellular Neurobiology, Centro per la biologia integrata – CIBIO) ha annunciato i risultati che potrebbe aprire la strada a nuove terapie contro il cancro.
Lo studio è stato pubblicato su ‘Nature Chemical Biology‘: per la prima volta è stata creata una proteina ingegnerizzata (della famiglia Rbfox) in grado di legarsi a un particolare tipo di acido nucleico (miR-21, elemento associato allo sviluppo di cellule tumorali), come una chiave con la sua serratura, e che, una volta dentro la cellula tumorale, riesce a inibirne lo sviluppo.

Rbfox-nativeRNA
A schematic of the RNA-binding region of Rbfox2, shown in grey, attached to part of its natural RNA target, depicted in orange, green, blue and red. Yu Chen, Fan Yang, Gabriele Varani

L’interazione tra proteine e acidi nucleici (in particolare RNA) – spiega Paolo Macchi del CIBIO – è molto complessa e capire come ciò avvenga e come sia regolata permette di creare, ad esempio, molecole ingegnerizzate con nuove proprietà biologiche, per scopi non solo di ricerca, ma anche terapeutici“.

Un’alterata espressione dei miRNA (sequenze corte di RNA che regolano l’attività dei geni e contribuiscono al normale sviluppo e funzionalità delle cellule) attiva, infatti, una serie di eventi che portano a una trasformazione neoplastica della cellula, allo sviluppo di metastasi e quindi a una cattiva prognosi in pazienti oncologici. “In questo contesto miR-21 è uno dei miRNA più studiati poiché alti livelli di miR-21 determinano un aumento dell’espressione di geni onco-promotori e una riduzione di geni onco-soppressori” afferma Paolo Macchi.  Il team è riuscito a creare una proteina ingegnerizzata (Rbfox2 modificata) che si lega a miR-21 impedendo così il passaggio dei messaggi di promozione del tumore.

Leggi abstract dell’articolo:
Targeted inhibition of oncogenic miR-21 maturation with designed RNA-binding proteins
Yu Chen,Fan Yang,Lorena Zubovic,Tom Pavelitz,Wen Yang,Katherine Godin,Matthew Walker,Suxin Zheng,Paolo Macchi & Gabriele Varani
Nature Chemical Biology (2016) Published online 18 July 2016 doi:10.1038/nchembio.2128

Fonti: University of WashingtonUniversità di Trento

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Menopausa precoce o ritardata e rischio diabete tipo 2.

Posted by giorgiobertin su luglio 28, 2016

Le donne che iniziano la menopausa prima di 46 anni o dopo 55 hanno un aumentato rischio di sviluppare il diabete di tipo 2, secondo uno studio condotto da Erin LeBlanc su più di 124.000 donne (enrolled in the Women’s Health Initiative). Il lavoro coordinato dalla ricercatore Erin LeBlanc è stato pubblicato sulla rivista “Menopause“, la rivista ufficiale della North American Menopause Society.
Secondo la società, l’età media della menopausa, o il periodo mestruale finale di una donna, è 51 anni.

NAMS

Dopo la menopausa, i livelli di estrogeni diminuiscono. Questi bassi livelli di estrogeni sono stati collegati ad un aumento del grasso corporeo e dell’appetito, una diminuzione del metabolismo e quindi livelli elevati di zucchero nel sangue.

Il nostro studio suggerisce la finestra ottimale per la menopausa e il rischio di diabete ed è un’età compresa tra 46 e 55 anni“, ha detto la dott.ssa LeBlanc, autore principale e ricercatore presso il Kaiser Permanente Center for Health Research. “Le donne che iniziano la menopausa prima o dopo quella finestra devono essere consapevoli che sono a rischio più elevato di diabete tipo 2, e dovrebbero essere particolarmente vigili sulla riduzione dell’obesità, su una dieta sana ed un esercizio fisico. Questi cambiamenti di stile di vita contribuirà a ridurre il loro rischio di diabete di tipo 2“.

Leggi abstract dell’articolo:
Reproductive history and risk of type 2 diabetes mellitus in postmenopausal women: findings from the Women’s Health Initiative
Erin S. LeBlanc,Kristopher Kapphahn, Haley Hedlin, Manisha Desai,Nisha I. Parikh, Simin Liu, Donna R. Parker, Matthew Anderson, Vanita Aroda, Shannon Sullivan,… + al.
Menopause: The Journal of The North American Menopause Society Vol. 24, No. 1, pp. 000-000 DOI: 10.1097/GME.0000000000000714

Fonte: Kaiser Permanente Center for Health Research

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Ipoglicemizzanti in pazienti con diabete di tipo 2.

Posted by giorgiobertin su luglio 28, 2016

I farmaci maggiormente utilizzati in terapia per la cura del diabete mellito di tipo 2 sono essenzialmente gli ipoglicemizzanti orali; l’altra forma di diabete (di tipo 1) richiede invece iniezioni di insulina per mantenere regolari i livelli glicemici.
Gli ipoglicemizzanti orali, che devono però essere assunti solamente quando la terapia nutrizionale medica per il diabete non porta alcun beneficio osservabile dopo almeno tre mesi.

JAMA-cover

Ora un team internazionale di ricercatori, che ha coinvolto anche ricercatori italiani ((CORESEARCH), Pescara – University of Eastern Piedmont, Novara – University of Bari), ha condotto una meta-analisi per valutare l’efficacia relativa e la sicurezza associate ai farmaci ipoglicemizzanti, compresa l’insulina. I risultati dello studio sono stati pubblicati sulla rivista “JAMA“. La ricerca è stata condotta sul Cochrane Library Central Register of Controlled Trials, MEDLINE e EMBASE (fino a marzo 2016) ed ha riguardato gli studi clinici randomizzati di durata pari o superiore a 24 settimane (totale 301 studi). L’outcome primario era la mortalità cardiovascolare. Gli esiti secondari includevano la mortalità per tutte le cause.

Dai risultati è emerso che i pazienti adulti con diabete di tipo 2 non vi sono state differenze significative nell’associazione tra una delle 9 classi disponibili di farmaci ipoglicemizzanti (da soli o in combinazione) e il rischio di mortalità cardiovascolare o per tutte le cause. Inoltre tutti i farmaci sono risultati efficaci in aggiunta a metformina.

Leggi abstract dell’articolo:
Comparison of Clinical Outcomes and Adverse Events Associated With Glucose-Lowering Drugs in Patients With Type 2 Diabetes
Suetonia C. Palmer, Dimitris Mavridis, Antonio Nicolucci, David W. Johnson, Marcello Tonelli, Jonathan C. Craig, Jasjot Maggo, Vanessa Gray, Giorgia De Berardis, Marinella Ruospo,… et al.
JAMA. 2016;316(3):313-324. doi:10.1001/jama.2016.9400

Supplemental Content

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Alzheimer: Il resveratrolo ripristina la barriera emato-encefalica.

Posted by giorgiobertin su luglio 28, 2016

Il Resveratrolo, dato ai malati di Alzheimer, sembra ripristinare l’integrità della barriera emato-encefalica, riducendo la capacità delle molecole immunitarie dannose, secrete dalle cellule del sistema immunitario, di infiltrarsi dal corpo nei tessuti del cervello. Ad affermarlo i ricercatori della Georgetown University Medical Center (GUMC) che hanno presentato i nuovi dati nel corso della Alzheimer’s Association International Conference® 2016 (AAIC®). La riduzione dell’infiammazione neuronale ha rallentato il declino cognitivo dei pazienti, rispetto ad un gruppo di pazienti con la stessa patologia trattati con placebo.

resveratrol

Il resveratrolo è un composto naturale che si trova in alimenti come uva rossa, vino rosso, lamponi e cioccolato fondente. Il morbo di Alzheimer è un danno causato da in’infiammazione, si pensa sia dovuto ad una reazione all’accumulo di proteine anormali, comprese Abeta40 e Abeta42, legate alla distruzione dei neuroni. Questo studio dimostra che alcune delle molecole immunitarie che possono causare infiammazione nel sangue possono entrare nel cervello attraverso una barriera ematoencefalica.

I risultati suggeriscono che il resveratrolo impone una sorta di controllo della folla di molecole che cercano di varcare il confine del cervello. Il composto sembra chiudere fuori le molecole immunitarie indesiderate che possono provocare l’infiammazione del cervello e uccidere i neuroni“, dice il neurologo Charbel Moussa, uno degli autori della ricerca.

I ricercatori del GUMC, guidati da R. Scott Turner e Charbel Moussa, hanno testato la sostanza in 119 pazienti, il più grande studio clinico di fase II  per lo studio ad alte dosi di resveratrolo nei soggetti con lieve o moderato morbo di Alzheimer. Lo studio è stato pubblicato a Set 2015 in Neurology.

La nuova parte dello studio sul resveratrolo esamina specifiche molecole nel liquido cerebrospinale (CSF). I pazienti trattati con la molecola hanno avuto una riduzione del 50 per cento della metalloproteinasi nella matrice-9 (MMP-9) nel livello del liquido cerebrospinale. MMP-9 è ridotta quando si attiva sirtuin1 (SIRT1). Alti livelli di MMP-9 causano una rottura della barriera emato-encefalica, permettendo alle proteine e alle molecole del corpo di entrare nel cervello. Normalmente bassi livelli di MMP-9 mantengono integra la barriera.

Leggi il full text dell’articolo:
A randomized, double-blind, placebo-controlled trial of resveratrol for Alzheimer disease.
Turner RS, Thomas RG, Craft S, van Dyck CH, Mintzer J, Reynolds BA, Brewer JB, Rissman RA, Raman R, Aisen PS; Alzheimer’s Disease Cooperative Study.
Neurology. 2015 Oct 20;85(16):1383-91. doi: 10.1212/WNL.0000000000002035. Epub 2015 Sep 11.

The study was conducted under local institutional review board supervision, under Food and Drug Administration IND 104205, and registered at ClinicalTrials.gov (NCT01504854).

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